Regia: paola lopreiato/alfonso belfio
Drammaturgia:
Attori: paola lopreiato
Altri crediti:
Parolechiave:
Produzione:
Anno di produzione: 2009
Genere:
Le azioni sceniche sono condotte dalla performer all’interno di una rete di video proiezioni. Tre differenti proiezioni scorrono simultaneamente per tutta la durata dello spettacolo; i tre fasci di proiezione si intrecciano fra di loro e delimitano lo spazio luminoso dentro il quale la performer, attraverso le azioni e la musica, percorre “Il giardino della mente”. Gli effetti luminosi delle proiezioni sincronizzate disegnano sul corpo della protagonista figure di luce, articolandosi anche con i ritmi sonori e con i giochi di ombre. Lo spazio scenico è caratterizzato da mobili e suppellettili coperti da lenzuoli bianchi, come in una vecchia casa disabitata. Attraverso il gioco di luci della multiproiezione questi oggetti perdono le loro connotazioni originali per assumere le sembianze degli oggetti, dei simboli e delle figure, emersi dalle profondità della mente. Questo è lo spazio in cui si oltrepassa la soglia che conduce al giardino della mente.
Lo vedemmo davvero
o lo strano spettacolo si svolse
nel giardino della mente?
Il giardino della mente è un modo per definire un proprio spazio visionario che continuamente si sovrappone e si confronta con il reale. Il giardino inteso come spazio mentale, teatro aperto a continue mutazioni. Lo spazio e il tempo in cui si libera l’indagine che l’artista compie dentro di sé non sono casuali. Il giardino, che è un luogo reale ed esterno, affiancato alla parola mente, che è invece qualcosa di interiore, condividono le stesse qualità: designano, infatti, un limite, un confine e, contemporaneamente, il transito fra due spazi e due tempi, il contatto fra due dimensioni dell’essere, il fuori e il dentro, quello che è e quello che non è ancora. Procedere all’interno della performance, nell’ascolto e nella visione, è come procedere in un edificio. Una stanza dopo l’altra incontriamo oggetti nuovi e altri già visti, oggetti di cui non si capisce l’uso o non se ne conosce la funzione. Le stanze si aprono ad ampie prospettive, reali o finte, a visioni d’insieme e di particolari; vi sono continue ripetizioni, la memoria è sempre stimolata da somiglianze ma anche da stranezze. Alla fine del percorso forse non si ha una consapevolezza di quale fosse la pianta dell’edificio, più simile ad un labirinto, o quale fosse la destinazione esatta. Ciò che rimane è la percezione di un sentimento. Questo è il significato del “giardino della mente”, il suo contenuto. La performance non è una narrazione di fatti o all’opposto una descrizione di astratti, è piuttosto un mondo delle “essenze” cioè un mondo di cose che vivono e prendono vita. La performance è messa in moto da una domanda fondamentale: lo vidi davvero o stava accadendo solo nella mia mente? Vedere è dunque la parola chiave, strettamente associato al sentire, quasi come fosse un’endiadi; e il vedere e il sentire sono uniti nello sforzo di comunicare il vivere.
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