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IL VIVAIO - e se ci amassimo quanto ci odiamo lo sai che bello

ROSVITA PAUPER

Genere Prosa Performance
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Regia: MARTINA BADILUZZI

Drammaturgia: Martina Badiluzzi, Giorgia Buttarazzi

Attori: Martina Badiluzzi, Alberto Baraghini​, Samuele Chiovoloni​, Ludovico Röhl​

Altri crediti: aiuto regia_ Elisa Menchicchi​ ambiente sonoro live_ Samuele Cestola​ disegno luci_ Francesco Tasselli​ costumi_ Ambra Onofri illustrazioni_ Maria Martini​ foto_ Camilla Troiani, Giacomo della Rocca riprese video e montaggio_ Giacomo della Rocca ufficio stampa_ Marta Scandorza​

Parolechiave: Vivaio, RosvitaPauper, Performace, Teatro

Produzione: ROSVITA PAUPER

Anno di produzione: 2017

Genere: Prosa Performance

|| IL VIVAIO - E SE CI AMASSIMO QUANTO CI ODIAMO LO SAI CHE BELLO ||


_Scrivere il proprio passato cercando di ricostruirlo con la memoria delle cose. Riattraversare
l’infanzia in maniera analogica scoprendo che c’è stato un tempo che lasciava traccia. Diari,
fotografie, registratori o musicassette con incise le nostre voci che introducono la canzone che
amavamo da adolescenti. L’anello di famiglia che dovrò regalare alla mia fidanzata. La riflessione
di una generazione che sa cosa vuol dire lasciare traccia ma che al contempo non ne lascerà
alcuna. Non una cartolina né una lettera d’amore. Scavando tra le macerie della casa delle cose
di famiglia è scritta una storia sconosciuta, un enigma indispensabile da risolvere per trovare una
qualche identità. Una generazione stordita che non ha un nemico con cui prendersela,
nemmeno i padri o le madri bastano più per scrivere un dramma veramente
contemporaneo. Fratelli di sangue e non, tutti senza fede. Ci sono solo una casa di famiglia, la
morte di un parente stretto e un terreno, un’attività dimenticata di cui non si è tramandato il
mestiere e tre fratelli, forzati dalla burocrazia a condividere una giornata. L'unica traccia del
passato, si incarna in un amico d’infanzia, lo spettro delle loro scelte. All’imbrunire, tre fratelli,
decidono di fare il funerale alle loro identità sghembe e di seppellirle nel giardino della casa di
famiglia. La ricerca riguarda l’attesa di tre esseri umani che aspettano di scoprire che pianta
nascerà sulla propria tomba, un’identità floreale.

_Perché il vivaio / la terra / i fiori_
Il vivaio come emblema delle nostre radici alla Terra nell’epoca della globalizzazione dei mercati
e delle comunicazioni virtuali delle relazioni umane, rappresenta un paradigma della modernità
urbana post-industriale. Il rimando alle radici familiari è quanto mai diretto, ma non c’è solo
questo, il fiore è essenza, è la parte migliore della pianta, è quel che mostra di essere, superficie
ed essenza allo stesso istante. Il fiore è promessa del futuro, così come Flora era la dea dei fiori
prima e dei raccolti poi. I fiori accompagnano l’intera storia umana, danno vita ad un linguaggio
simbolico, silenzioso ma conosciuto. La coltivazione dei fiori è legata quanto poche altre attività
umane al grado di civiltà raggiunto da una società, perché legata meramente all’estetica: i fiori
non sfamano, non hanno utilità, hanno la bellezza.

Chi può dire di che carne sono fatto? Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni
sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi
terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagione.
- La luna e i falò - Cesare Pavese

Informazione riservata agli Organizzatori

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