Regia: TAMARA BARTOLINI
Drammaturgia:
Attori: TAMARA BARTOLINI ILARIA GRAZIANO
Altri crediti:
Parolechiave:
Produzione:
Anno di produzione: 2011
Genere:
Noi non cesseremo l’esplorazione e la fine di tutto il nostro esplorare sarà giungere là onde partimmo e conoscere il luogo per la prima volta. T.S.Eliot Passi guarda alla sincronia di suoni, movimenti, luci e parole dell’omonima opera di Beckett che all’interno del lavoro è innanzitutto un’atmosfera. Si riparte dal volo capovolto della Caduta per cercare la seconda nascita che è la morte di una parte di noi, quella parte che va salutata tagliando il cordone ombelicale di relazioni, strutture mentali, fisiche e politiche per trovare la strada, anche se precaria, su cui camminare. I primi passi sono quelli di un individuo spezzato, incerti, deambulanti. Si cammina con scarpette rosse emorragiche ereditate di madre in madre, con scarpe ortopediche, con piedi di scimmia. Sono i piedi che ci guidano. Lavoriamo sul filo assaporandone l’incompiutezza, la sensazione dello stare in bilico, il disagio, il perdersi e il cercare continuamente la strada da percorrere. Il materiale ha la fragilità di un corpo nudo, esposto. Siamo tornati dentro uno spazio placenta e improvvisiamo all’interno del nostro stesso lavoro rompendo la struttura per spiarne la crudezza, l’ironia, la vita che scorre sotto, dentro una riflessione aperta sul qui e ora del percorso creativo. Passi nasce da pensieri, fotografie, sogni, ricordi miei e di Ilaria Graziano, questi sono i passi per ricostruire il corpo caduto, per abbandonarlo. E’ un parto ma anche una veglia, un piccolo ritratto di donna. Una donna dentro due donne, riflesse l’una nell’altra. Due donne dentro una fotografia, dentro un sogno, dentro uno specchio che nascono e muoiono, tra parole interrotte e suoni ancestrali, srotolando il filo della propria vita che è anche il filo precario del teatro, del rapporto con il potere, con l’ombra della madre da cui bisogna separarsi per diventare individui, soli, affidati unicamente al moto delle proprie gambe, alla ricerca disperata ma gioiosa di quel disequilibrio, alla ricerca del cammino e non del traguardo, un passo dopo l’altro, anche se i piedi camminando sul filo fanno male. La scrittura è fatta di segni, tracce, appunti scritti sui nostri corpi. Lo spazio è sospeso e lo spettacolo per noi inizia prima che il pubblico entri in sala. Il pubblico è un altro spazio, un altro corpo che agisce. Partiamo da un sé per tracciare un percorso collettivo.Partiamo dal filo su cui camminiamo tutti per cadere insieme dentro questa bolla fragile di luci rotte e di altalene luogo alchemico continuamente spezzato dal movimento di luci e ombre, dal corpo e la voce che cercano in tutte le direzioni, cercano il prossimo mondo, il prossimo ricordo, il sogno in cui sprofondare. E’ la fine ed è ancora una volta l’inizio quel momento che il pubblico non ha visto, l’inizio che tutti noi abbiamo perso perché nessuno se lo può ricordare. E’ l’origine e la fine di tutto. Quella fine che è solo la curva della strada. Da quel punto di luce che se ne va si ricomincia.
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