Regia: MATTEO LOLLI
Drammaturgia: Matteo Lolli - Alessandro Lori
Attori: ALESSANDRO LORI CAMILLA CORSI
Altri crediti: Video, immagini, grafica - Salvatore Insana ---- Disegno luci e direzione tecnica - Javier Delle Monache
Parolechiave:
Produzione: Potevano essere rose
Anno di produzione: 2015
Genere:
Sinossi: Il Festival del Suicidio è dedicato a Giorgio Manganelli e Paolo Terni. Lo spettacolo ricalca la struttura demente di un festival della musica leggera, somma espressione di cattivo gusto corale, in cui illustri suicidi del passato, prima di togliersi platealmente la vita, concedono un’ultima intervista e interpretano vari brani musicali. A lasciarsi attraversare in scena dai soffi degli aspiranti suicidi, pronti a divampare e spegnersi per sempre, sono un uomo e una donna. Nonostante le reali premesse lugubri e truci, la kermesse canora conserva tutti gli elementi di facciata fondamentali per tenere in piedi un festival che si rispetti: un presentatore infame imbonitore, una valletta troia banderuola, i concorrenti, lo sponsor che impone un momento promozionale squallido, uno scopo umanitario per alleggerire la coscienzuccia sporca, e tutto sotto il segno di “allegria” , “spensieratezza” e “dovemo pur magnà” per giustificare il “famo cacà”!
Note di regia:
Non si da miglior critico che noi stessi.
Il Festival del suicidio non è una parodia del presente ne una provocazione. In pieno, antiumanistico, nuovo millennio chi ha occhi e orecchi per intendere (ma chi li ha più ormai?) intenda: qui non si tratta solo dell’ “inattuale” che, una volta tanto, sbeffeggia e prende a calci in culo la servile imbecille ipocrisia democratica, come è giusto che sia. Siamo ai ferri corti con noi stessi in quanto “prodotto” del nostro tempo. Non vogliamo essere l’ennesima nullità, o “zero sociale” carico di frustrazione e libido eccitata, riscaldate al fuoco di bollente invidia luciferina, pronti a esplodere reclamando attenzione nel porcile come nuovo potere pronto a guarire l’umanità dai suoi mali. Fango e miseria, l’umanità non guarisce dai propri mali, ne è vittima e basta. Al contrario di Goethe che in punto di morte chiedeva “più luce” noi chiediamo meno luce, più ombra, per restare - vivaddio! - in una buia marginalità. Quello che non smette di attrarci e farci orrore al tempo stesso è quella abissale cosa infima, insondabile nella sua cattiveria e ipocrisia, ma anche nella sua grazia, che si chiama cuore umano.
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