Regia: Maura Pettorruso
Drammaturgia: Giulio Federico Janni
Attori: Pierpaolo Congiu Angelica Beccari
Altri crediti: Scene: Stefano Zullo Costumi: Luciana Gravina Luci: Federica Rigon
Parolechiave: prosa, drammaturgia contemporanea, attori, filosofia, esistenza
Produzione: Compagnia Raumtraum
Anno di produzione: 2024
Genere: Prosa
Un vecchio attore si trova costretto su una sedia a rotelle a causa di una cronica infezione alle emorroidi. A prendersi cura di lui, una giovane attrice venuta al capezzale del maestro per apprendere l’arte e il mestiere del vecchio attore. Da sei anni vivono in stretta simbiosi. La giovane attrice è oramai una badante a cui - sporadicamente - il vecchio burbero maestro concede la possibilità di provare il monologo di Shakespeare che sta preparando. Tra i due è nata una routine abitudinaria, uno scorrere del tempo sempre uguale, un battibecco giocoso e traboccante. Il vecchio attore ordina, sproloquia, esige, rimbrotta. La giovane attrice esegue, succube e impotente. Eppure, il gioco di potere non è così definito: così come lei ha bisogno degli insegnamenti di lui, anche lui ha bisogno di lei. Questa routine snervante e grottesca viene interrotta dall’arrivo di un giornalista che vuole raccogliere il pensiero del maestro a cui è stata data un’importante onorificenza: l’intitolazione di una sala teatrale a suo nome. Rimasti nuovamente soli i due riprendono il loro ritmo quotidiano apparentemente inalterato.
A FUTURA MEMORIA è un testo che parla di vita e di morte, di senso della vita, di senso della morte. E’ un testamento di fine vita, una memoria da tramandare. Il gioco simbiotico tra i due protagonisti viene esasperato dalla regia attraverso un ritmo serrato, un uso convulsivo dello spazio. Il vecchio attore non si muove dalla sua sedia, viene mosso dalla giovane attrice. A lui è lasciato lo spazio della parola, a lei dell’azione fisica. Questa sinergia esaspera nella prima parte dello spettacolo la verve comica e grottesca della situazione in cui sono costretti. Elementi onirici irrompono nel linguaggio per dare voce a un mondo interiore nascosto. Il giornalista viene reso dall’attrice stessa che veste i panni di un essere quasi alieno che rompe la sacralità dello spazio al ritmo della musica dance. E’ lei stessa a interpretare il ruolo, come se questo fosse null’altro che un altro gioco perverso e intimo tra i due. La luce malata e fioca che disegna lo spazio scenico, così come i grigi elementi scenografici, viene investito alla fine da una luce calda che porta un vento carico di petali rossi. E’ il momento finale: il vecchio attore muore sereno mentre finalmente l’attrice recita il suo monologo e lo spazio si inonda di luce e di vita, di una natura che prevale proprio quando la morte soffia il suo ultimo respiro. Uno spettacolo ironico, a tratti comico e grottesco che scivola via via in un dramma poetico e consolatorio.
Informazione riservata agli Organizzatori
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