 
        Regia: Antonella Carone-Tony Marzolla-Loris Leoci
Drammaturgia: Damiano Francesco Nirchio
Attori: Antonella Carone, Tony Marzolla, Loris Leoci
Altri crediti: Progetto, Regia e Interpretazione Antonella Carone, Tony Marzolla, Loris Leoci Drammaturgia Damiano Nirchio Scenografia e Costumi Pier Paolo Bisleri Disegno Luci Giuseppe Pugliese Arrangiamenti canzoni e vocal coach Isabella Minafra Arrangiamenti musicali strumentali Vito Liturri Supervisione ragtime Dino Parrotta Assistente alla regia Rossana Suriano Sarta Angela Gassi Prosthetics Marcella Zito Montaggio video Nicola Galluzzi Tecnico Gianni Colapinto Foto di scena Alessio Gernone Locandina Umberto Colasanto
Parolechiave: Drammaturgia contemporanea. Memoria, Classici, Musica dal vivo, Uno&Trio
Produzione: Uno&Trio
Anno di produzione: 2023
Genere: Teatroragazzi (13-199) Prosa
            In “Tanto vale divertirsi” Antonella Carone, Tony Marzolla e Loris Leoci proseguono il lavoro di recupero e di 
esplorazione dei meccanismi della risata cominciato già con il precedente “Alla moda del Varietà”, ma 
questa volta si spingono oltre, muovendosi su un terreno delicatissimo, cercando di “conciliare 
l’inconciliabile, il divertimento e il lutto”. 
Lo fanno muovendosi in una scena elegante ed essenziale che rappresenta un teatro rovesciato dove il 
sipario (drammaturgico) è il fondale e da quel “fondo” incombe l’arrivo di uno strano “pubblico”, descritto 
come una creatura inafferrabile, mostruosa, astratta. E, in attesa che questo arrivi, per non soccombere 
all’horror vacui, i tre personaggi ripasseranno alcune scene di un “Amleto” in chiave comica che di lì a poco 
andranno a rappresentare, in un progredire che da “semplice” distopia si rivelerà in tutta la sua crudele
storicità, mentre al riso spetterà il compito di “rovesciare la scansione del lutto”. 
Punto di partenza e fonte d’ispirazione per “Tanto vale divertirsi” è stato il campo di transito di Westerbork 
in Olanda, dove tra il 1942 e il 1943 si ritrovarono molti nomi di primo piano della scena europea: Camilla 
Spira, Max Ehrlich, Kurt Gerron (reduce dal grande successo de “L’Angelo Azzurro” pochi anni prima), ma 
anche il pianista Willy Rosen o il duo swing “Jonny e Jones”, per citarne alcuni.
A Westerbork, tappa intermedia verso lo sterminio, c’era anche un teatro dove questi artisti continuarono 
ad esibirsi per allietare non solo il pubblico degli internati, ma soprattutto i loro carcerieri e aguzzini 
accomodati nelle prime file. Espulsi dai set e dai palcoscenici sui quali avevano primeggiato, le loro 
performance si replicavano in situazioni sempre più dure: i campi di transito, poi i ghetti e i campi di 
sterminio. 
Westerbork, ma anche Theresienstadt, Dachau, Buchenwald, dunque. Sono nomi di località che tutti 
tristemente conosciamo. Ne conosciamo la natura e le criminali finalità per le quali furono concepite. 
Quello su cui meno ci si sofferma sono le modalità con cui i detenuti cercavano di sopravvivere a quel 
dolore: resilienza, per usare una parola fin troppo abusata, che finì per coincidere in alcuni casi con 
l’espressione artistica. 
Se si pensa, inoltre, che il gotha del teatro umoristico mitteleuropeo, agli albori della seconda guerra 
mondiale, era costituito prevalentemente da attori di origine ebraica, acclamatissimi dal grande pubblico, 
allora non stupisce il fatto che moltissime furono le manifestazioni legate allo spettacolo comico-leggero 
che fiorirono in quei luoghi. Da questi attori comici ci si aspettava che facessero ridere, che sciorinassero 
tutto il loro migliore repertorio: serviva ai gerarchi che godevano di spettacoli con il meglio che la scena 
teatrale avesse conosciuto fino ad allora; serviva agli artisti stessi, che così p          
Informazione riservata agli Organizzatori
Informazione riservata agli Organizzatori
 
				 
				 
				