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Gocce - Relitti di naufragi

Kaleidos

Genere Prosa
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Regia: Giulia Sara Borghi e Stefania Buraschi

Drammaturgia: Giulia Sara Borghi e Stefania Buraschi

Attori: Arianna Sain, Jessica Fiumara, Margherita Lisciandrano

Altri crediti: Musiche originali: Stefano Parravicini

Parolechiave: profughi, teatro sociale, performance, migrazioni

Produzione: Kaleidos

Anno di produzione: 2019

Genere: Prosa

UN PUZZLE DI RELITTI
Le performer entrano in scena per svolgere le loro banali attività quotidiane; in
sottofondo, una cronaca martellante parla di naufragi, di annegati, di dispersi. Contro la
loro volontà, si ritrovano quasi ipnotizzate, le date e il numero di morti dei naufragi si
insinuano nel loro subconscio e si ripetono come in una cantilena che le introduce a
un inaspettato interesse: cosa succede a quei corpi che popolano il cimitero del
Mediterraneo? A chi corrispondono? Cosa rimane di loro?
La curiosità quasi morbosa che spinge le performer a indagare le dinamiche
dell’annegamento si rimodula presto nell’esigenza di recuperare un’umanità liquefatta
tra le onde, fino a diventare una vera e propria missione: quella di offrire il proprio
corpo e la propria voce agli spettri del mare, che non hanno altro modo per
raccontare le proprie storie, storie uniche e al tempo stesso universali, intrappolate in
una tragedia senza catarsi.

UNO SPAZIO SCENICO DA RICOSTRUIRE
Così come le storie dei migranti, anche lo spazio scenico viene costruito via via dalle
performer nel corso del loro viaggio, fisico e metaforico. All’inizio della pièce, in scena
non ci sono che dei fogli che recano scritti i nomi delle tre attrici, Margherita, Arianna
e Jessica, che faranno il loro ingresso accompagnate da semplici oggetti utili per
svolgere le loro azioni di routine: tagliarsi le unghie, affettare le verdure, fare le pulizie.
Man mano che prendono commiato dalla propria identità per immedesimarsi in quella
dei profughi, lo spazio e gli utensili che le circondano attraverseranno molteplici
trasformazioni, caricandosi via via di significati simbolici. Su tutti, domina l’acqua:
l’acqua che lava, che soffoca, che disseta, che rigenera, che annega.

UNA COMMISTIONE DI LINGUAGGI PER DIRE IL NON DETTO
Per assecondare il desiderio di restituire spazio alla narrazione di chi non ha più
voce per narrare, le performer attingono a diversi linguaggi scenici.
Primo su tutti quello del corpo, che diventa un vero e proprio strumento di
esplorazione: scoprendolo nella sua disarmante vulnerabilità, spingendolo ai limiti
della resistenza, prestandolo a fantasmi incorporei, ne fanno un medium per
immergersi in un’agonizzante e necessaria ricerca.
Anche il linguaggio verbale le accompagna nella loro inchiesta: ora è parola narrante, ora è lingua sconosciuta, ora è
respiro affannato, ora è canto universale, ora è rantolo strozzato. Infine, particolare
rilievo ricopre il linguaggio sonoro, nelle sue diverse inclinazioni: dapprima
rifrazione di asettiche voci registrare, che accumulano notizie e dati con la cadenza
impersonale dei telegiornali, poi trama che intreccia i rumori prodotti dalle performer
stesse partendo dagli oggetti a loro disposizione per ricostruire la colonna sonora del
mare, infine commento musicale, al tempo stesso martellante ed elegiaco,
appositamente composto dal musicista Stefano Parravicini.

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