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ELEGìA DELLE COSE PERDUTE

ZEROGRAMMI

Genere Danza Teatro-danza
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Regia: Stefano Mazzotta

Drammaturgia: Stefano Mazzotta

Attori: Alessio Rundeddu, Amina Amici, Damien Camunez, Gabriel Beddoes, Manuel Martin, Miriam Cinieri, Riccardo Micheletti

Altri crediti: soggetto, regia e coreografia/subject, direction and choreography Stefano Mazzotta una riscrittura da/a rewrite from Os Pobres di/by Raul Brandao collaborazione alla drammaturgia/collaboration to the dramaturgy Anthony Mathieu, Fabio Chiriatti disegno luci/light design Tommaso Contu costumi e scene/sets and costumes Stefano Mazzotta assistente di scena/stage assistant Riccardo Micheletti segreteria di produzione/production assistant Maria Elisa Carzedda produzione/production Zerogrammi coproduzione/coproduction Festival Danza Estate - Bergamo (It), La meme balle – Avignon (Fr), La Nave del Duende - Caceres (Sp) con il contributo di/with the contribution of Residenza artistica artisti sul territorio: INTERCONNESSIONI/Tersicorea/Sardegna (ai sensi Intesa Stato/Regioni sancita il 21.9.2017 e in attuazione dell’articolo 43 (Residenze) del D.M. 27.7.2017), Comune di Settimo S. Pietro, Comune di Selargius, Arca del Tempo, Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Cagliari e le Province di Oristano e Sud Sardegna, Fondazione di Sardegna, Regione Sardegna, Regione Piemonte, MIC - Ministero della Cultura in collaborazione con/in collaboration with CASA LUFT, Ce.D.A.C Sardegna - centro diffusione attività culturali circuito multidisciplinare dello spettacolo dal vivo, PRIFERIE ARTISTICHE - Centro di Residenza Multidisciplinare della Regione Lazio - Supercinema, Tuscania

Parolechiave: esilio, memoria, radici, nostalgia, sogno

Produzione: Zerogrammi

Anno di produzione: 2021

Genere: Danza Teatro-danza

Elegìa delle cose perdute è una riscrittura in danza dal romanzo I Poveri dello scrittore e storico portoghese Raul Brandao. Il paesaggio evocato da questo riferimento letterario, in bilico tra crudo, aspro, onirico e illusorio, ha la forma dell’esilio, della nostalgia, della tedesca Sehnsucht, della memoria come materia che determina la traccia delle nostre radici e identità e, al contempo, la separazione da esse e il sentimento di esilio morale che ne scaturisce: sogno di ritorni impossibili, rabbia di fronte al tempo che annienta, commiato da ciò che è perduto e che ha scandito la mappa del nostro viaggio interiore.

Nell’indagine intorno al topos dell’esilio, questa creazione racconta, oltre il suo significato geografico, la condizione morale che riguardi chiunque possa sentirsi estraneo al mondo in cui vive, collocandolo in uno stato di sospensione tra passato e futuro, speranza e nostalgia. Il desiderio che questa condizione reca in sé non è tanto il desiderio di un'eternità immobile quanto di genesi sempre nuove e di un luogo che resta, un luogo dove essa si anima di una rinascita che è materia viva, e aiuta a resistere, a durare, a cambiare. I quadri che compongono la narrazione diventano la mappa di un viaggio nei luoghi (interiori) dei personaggi de I Poveri: figure derelitte e però goffe al limite del clownesco, accomunate dal medesimo sentimento di malinconica nostalgia e desiderio di riscatto,, humus del mondo (direbbe Raul Brandao), personaggi di pirandelliana memoria. Lo spazio che intercorre tra l’osservatore e queste storie (e tra queste storie e il sogno condiviso cui tendono) è una lontananza dal sapore leopardiano, la misura di un finibusterrae che è senso di precarietà, di sospensione nel vuoto, una grottesca parata di figure in transito, come clown di un teatro popolare che fiorisce da un anelito comune, che non ha bisogno di orpelli per accadere, che si racconta ovunque, in un prato, in un vicolo, un cortile, un qualunque luogo di vita (M. Augé), una stazione di posta di fronte al giorno che finisce, con i suoi orizzonti, le sue lontananze, i desideri proiettati al domani e i punti di fuga. Corpi e paesaggio dialogano in questa elegìa del vuoto che rimane, si riconoscono in un desiderio comune, una capriola del pensiero, in un incedere che è vertigine, abbandono al tempo sospeso e ciclico di un valzer, forma di una tristezza nostalgica nel suo incedere ciclico e sospeso, che chiede di essere celebrata, attraversata, dentro un desiderio non già di possesso ma di appartenenza. Ed ecco che dentro questa logica di colpo svanisce ogni idea di miseria o povertà possibile, non esiste più niente che possa essere davvero perduto.

Informazione riservata agli Organizzatori

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