Regia: Fabrizio Saccomanno
Drammaturgia: Giuseppe Semeraro e Gianluigi Gherzi
Attori: Giuseppe Semeraro e Gianluigi Gherzi
Altri crediti:
Parolechiave: GHERZI, SEMERARO, PROFESSORI, PADRI, FIGLI
Produzione: Principio Attivo Teatro
Anno di produzione: 2020
Genere: Prosa
”Il figlio che sarò” si sviluppa attraverso registri leggeri, ironici, grotteschi, drammatici. È canto in onore dei figli e dei padri. È visione di futuro e rapporto con una memoria capace di trasformare i comportamenti presenti. Agisce stilemi teatrali diversi, passa dalla cifra poetica, alla cifra narrativa, dal dialogo serrato al bozzetto comico. Il tutto attraverso uno stile teatrale lieve, dove momenti lirici si alternano a momenti di comicità e all’irruzione in scena del linguaggio di una poesia popolare, legata ai rapporti e alle relazioni.
Un uomo di quarantacinque anni, Giovanni incontra Vito, il suo vecchio professore della scuola media superiore per chiedergli aiuto. Come tanti padri Giovanni ha un grosso problema con il figlio: c’è` silenzio, troppo, tra di loro, non riescono a comunicare, il figlio sembra, agli occhi del padre, assente, abulico. Senza valori e senza interessi. Spinto dal suo vecchio professore, Giovanni comincia a ricordare la propria infanzia e adolescenza, infanzia e adolescenza splendida e terribile. Adolescenza dove ci sono boschi di ulivi, strade storte, bici senza freni, ma anche periferie desolate del sud Italia. Ci sono incontri disgraziati e incontri miracolosi. Ci sono le cadute e i riscatti. C'è la relazione difficile che Giovanni ha avuto con suo padre. Un padre raramente capace di tenerezze e di ascolto, che ama la sua creatura, ma nello stesso tempo è spesso convinto che il modo migliore di amare è raddrizzare, curare il ramo che gli sembra storto per farlo tornare diritto, non ammettere e scusare mai la deviazione, la fragilità. Giovanni conquista con fatica la sua indipendenza nei confronti del padre, ma diventato padre a sua volta vive, in altre forme, la stessa difficoltà e mancanza di rapporto col figlio. Giovanni racconta a Vito i suoi richiami al figlio, spesso inascoltati, i suoi consigli, che spesso cadono nel vuoto, racconta di come lentamente il rapporto con il figlio si sia riempito di silenzi, di come dentro di sé il germe insidioso dell’indifferenza, della rabbia, dello scoramento abbia sempre più preso posto. Cosa vuol dire davvero essere padre oggi? Come fare a non dire bene e razzolare male? Di quali valori si è portatori? Vito spinge Giovanni a capire come il vuoto che sente nel rapporto col figlio, corrisponda anche a un vuoto dentro di sé. Attraverso questo racconto, Giovanni si pone di fronte ai propri buchi e alle proprie mancanze di oggi, al tradimento di quelle passioni e di quei desideri che proprio il rapporto con Vito, il suo professore, aveva attivato in lui. Nello stesso tempo questo viaggio nella propria memoria poetica ed emotiva e la nuova apertura di discorso e di visioni con il professore, permetteranno a Giovanni di ripensare in modo diverso a suo figlio, di ricominciare a reinventarlo poeticamente dentro di sé.
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