Regia: Davide Pascarella
Drammaturgia: Davide Pascarella
Attori: Matilde Vigna
Altri crediti: Progetto sonoro dal vivo Chiara Dello Iacovo Scenografia e creazioni materiali Gabriella Armini Spazio e luci Davide Pascarella Assistente alla regia Eva Meskhi Assistenti Gabriele Matté, Erica Nava, Letizia Russo Residenza produttiva Carrozzerie_n.o.t. in collaborazione con Nuovo Teatro Sanità Foto di scena Guido Mencari Video Mounir Derbal
Parolechiave:
Produzione: tEATROMEMORIA | residenza produttiva Carrozzerie_n.o.t | in collaborazione con Nuovo Teatro Sanità
Anno di produzione: 2019
Genere: Prosa
“Questa lettera sul pagliaccio morto” è un monologo, per un attrice e degli oggetti, scritto in forma di
lettera. È la storia di una macchinista che investe con il suo treno un pagliaccio su un monociclo, che
cammina contromano sui binari. È la lettera che la macchinista scrive ai suoi superiori per raccontare
quello che è successo.
Questo testo racconta la vita di un personaggio inventato, senza sentire neanche per un attimo la
necessità di dover dire che è inventato. Racconta di un essere umano che riceve il compito di raccontare
l’intera vita di qualcun altro, e di come quest’essere umano prende sulle sue spalle questo compito
enorme. Racconta della vita di un uomo nelle parole di chi lo ha conosciuto giusto il tempo necessario di
farsi raccontare la sua vita, e poi morire.
Non so dire se è una storia di umanità, di fratellanza, se è una “storia delle storie”, se è una storia “di un
uomo” con qualche sfumatura della storia “dell’Uomo”, ma so che è una storia che ha a che fare col
senso primigenio di ciò che è il “fratello”.
Con questo primo lavoro, cerco di interrogare me stesso prima ancora che la scena, e poi cerco di
interrogare la scena con la stessa innocenza di quando interrogo me stesso. Qual è il senso del racconto? Se ti racconto una cosa posso cambiarti la vita? Ha senso che una cosa debba essere “vera” per
significare? Cosa porta le persone a scegliere di morire? Cosa racconta di noi nonostante noi? Com'è
possibile che le cose “finte” ci trasformino? Come fanno le cose poetiche a essere dette facendosi
concrete? Come posso fare quello che mi piace? Come possono comunicare fra loro le cose
immensamente grandi, come l'universo, e immensamente piccole, come una carezza?
Queste domande le pongo al mio testo e le lascio a macerare come un humus, o a evaporare,
aspettandomi che piovano sulla mia testa ignara nei momenti inaspettati, mentre insieme cerchiamo di
interpretare la storia di due personaggi diversi ma con una direzione – purtroppo – comune.
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