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DOVE TUTTO E' STATO PRESO

BARTOLINI/BARONIO

Genere Prosa
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Regia: TAMARA BARTOLINI/MICHELE BARONIO

Drammaturgia: TAMARA BARTOLINI

Attori: TAMARA BARTOLINI MICHELE BARONIO

Altri crediti: DOVE TUTTO È STATO PRESO progetto vincitore del Bando Cura 2017 di e con Tamara Bartolini/Michele Baronio drammaturgia Tamara Bartolini scene e paesaggio sonoro Michele Baronio collaborazione al progetto, assistente alla regia, foto, grafica Margherita Masè collaborazione artistica Fiora Blasi, Alessandra Cristiani, Gianni Staropoli suono Michele Boreggi concept video Raffaele Fiorella regia Tamara Bartolini/Michele Baronio produzione Bartolini/Baronio | 369gradi coproduzione Teatri di Vetro Festival/Triangolo Scaleno Teatro con il supporto di Residenza IDRA (Brescia) e Armunia (Castiglioncello) nell’ambito del progetto CURA 2017 residenze teatrali Teatro Crest (Taranto) | Dracma Teatro - del Bello Perduto (Reggio Calabria) | Carrozzerie n.o.t (Roma) | Teatro del Lido di Ostia (Roma)

Parolechiave:

Produzione: BARTOLINI/BARONIO | 369GRADI

Anno di produzione: 2017

Genere: Prosa

«Un germoglio di quercia è piantato dentro un vaso prezioso che dovrebbe accogliere soltanto fiori delicati;
le radici si espandono, il vaso si spezza» J. W. Goethe


Nella casa assediata dai tarli, ogni stanza è il racconto di un mondo ladro.
Abitare dove tutto è stato preso non è comodo, e non ci rimane che tentare di correggere il momento fatale in cui ci siamo consegnati come testimoni del suo crollo imminente, finalmente crollare con lei per cercare sotto il peso delle sue polveri la possibilità di curarne le rovine.
La correzione, prova di follia ma anche di resistenza umana, si dispiega allora nella costante trasformazione di ciò che ostinatamente sopravvive, aprendo uno scenario di elementi minuti, quotidiani e personali che invitano attorno al focolare in cui la storia di ognuno s’intreccia alla storia di tutti, e da lì guardare: ripensare il mondo dall’origine per ascoltare le parole da consegnare a chi abiterà la casa dopo di noi, a chi sarà bambino, e al bambino che eravamo. Così, semplicemente, riscoprire che l’adulto ha il tempo, e il bambino niente eccetto il mondo e tutto il futuro, e che è nell’infanzia che si conserva il tratto potenziale della felicità.
È da qui che l’angelo-bambino di Benjamin getta uno sguardo penetrante e pieno d’affetto per la nostra dimensione creaturale, per la caduta dell’uomo e dell’umano, in quanto testimone dell’irruzione nella storia di una trasgressione che ha la levità del gioco e del sogno.
Guidata dalle biografie di adulti e di bambini incontrati tra residenze e laboratori, dalle visioni di Clément, dai sensi amorosi di Zambrano, dalla tragica delicatezza di Bourgeois e dal cosmo umano di Herzog, viene raccolta una domanda essenziale che si consegna nella sua potente fragilità straripando dallo spazio scenico: se potessimo guardare come se fosse di nuovo la prima volta, cosa vedremmo?
In un paesaggio scenico e linguistico che muove a ritroso verso i suoi primi sensi, aprendo il tempo del costruire tra la Terra, l’altro e il teatro, la casa si fa corpo e il progetto un’architettura esistenziale: un cantiere davanti al quale sapere che «il noi dimora in me».
Dove tutto è stato preso c’è ancora una rosa gialla, un giardino di cui prendersi cura.

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