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OPERA SENTIMENTALE

URteatro

Genere Prosa Performance
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Regia: progetto registico ANGIUS | FESTA. drammaturgia scenica di A

Drammaturgia: Camilla Mattiuzzo

Attori: Matteo Angius Riccardo Festa Woody Neri

Altri crediti: realizzato con il contributo SIAE bando S'ILLUMINA

Parolechiave: famiglia, porcellini, fiaba, opera, rock

Produzione: URteatro associazione teatrale

Anno di produzione: 2017

Genere: Prosa Performance

.l’idea
Mettiamolo in chiaro subito: il titolo non dice la verità. In questo sfasamento risiede per noi il gusto di questa storia. Nella sua ambiguità. Nel suo non sapere fino in fondo neanche lei stessa che cos’è. Un’opera sentimentale, che in fondo ‘opera’, nella sua considerazione diciamo sistemica e strutturale, non è, e che sentimentale, nella sua accezione più ampia e orizzontale, prova ad essere.
Parole che anelano a farsi opera e a farsi sentimento.
E da questa sensazione di voglia di costruire, di tentativo, e di mancanza, nascono i nostri primi pensieri intorno a ‘come si mette in scena questa ‘opera sentimentale’ che non n’è ne opera, né sentimentale. E lo diciamo immediatamente: siamo felici che non sia nessuna delle due cose, perché esattamente nell’accompagnare il cammino verso la sua realizzazione, troviamo lo stimolo e il fuoco della nostra proposta.
Non quindi un’idea di messa in scena sistematica e strutturale, non quindi una ‘opera teatrale’, ma anche qui, la rappresentazione di tentativi, la narrazione di un avvicinamento.

E poi la cosa per noi più evidente: questa storia sembra una fiaba, una di quelle in cui la Madre dice ai Figli: Andate e provate-vi! Da soli, sbagliate e abbiate paura, che i pericoli ci sono.
E il Padre non c’è e se c’è fa si con la testa e c’è pure la Nonna ( o il Nonno) e in genere un Lupo. O un Orco. O una Strega. Ma insomma. Tre fratellini come tre porcellini, mandati nel mondo a sbagliare e imparare, con pochi strumenti male assortiti, mutuati da una famiglia che sembrerebbe in decomposizione, ma non lo è: piuttosto, sono figli che vorrebbero essere famiglia, genitori che vorrebbero essere famiglia, un nonno che avrebbe voluto essere famiglia. E allora noi abbiamo immaginato una famiglia non composta da subito, mancante di pezzi. E abbiamo anche pensato che gli unici che davvero potrebbero giocare ad essere famiglia sono i figli…ed è per questo che la nostra proposta di messa in scena prevede tre interpreti maschi e basta, che ricoprano i ruoli dei figli ma che attraversino il testo sfiorando e occupando altri ruoli.
Da una parte quindi manteniamo ed esaltiamo la struttura del testo, dall’altra ne scomponiamo la popolazione, la leghiamo, in un gioco di specchi, alla fiaba dei tre porcellini, per poi riconsegnare allo spettatore non solo un oggetto artistico ma un’occasione di riflessione.
È una fiaba al contrario in cui, se qualcosa si impara, lo si fa ignorando che lo si è imparato. O lo si capisce quando ormai è troppo tardi, nella bocca del lupo, tra le fauci che si chiudono, si guarda con l’ultima occhiata le mura di fango e rametti e si pensa: i mattoni! Certo, i mattoni. Dovevo usare i mattoni.

Questa inversione, questo rovesciamento, questa impossibile cesura tra piacere e realtà, vogliamo studiare qui.

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