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Il grigio

Teatro In Fabula

Genere Prosa Performance
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Regia: Giuseppe Cerrone e Antonio Piccolo

Drammaturgia: Giorgio Gaber e Sandro Luporini

Attori: Antonio Piccolo

Altri crediti: assistente alla regia: Melissa Di Genova foto di scena: Tiziana Mastropasqua progetto grafico: Riccardo Teo addetto stampa: Gabriella Galbiati

Parolechiave: Ilgrigio, Giorgiogaber, TeatroCanzone, Canzonedautore, Monologo

Produzione: Teatro In Fabula

Anno di produzione: 2016

Genere: Prosa Performance

"Il grigio" è l’unica opera di sola prosa, senza canzoni, del repertorio teatrale di Giorgio Gaber e Sandro Luporini. È andato in scena per la prima volta nel 1988. Cerrone e Piccolo, però, sposano l’atteggiamento che Gaber stesso ha avuto per il proprio repertorio dagli anni ’90 in poi e decidono di attuare una lieve commistione con il repertorio del Teatro Canzone: tre brani, ossia "Il dilemma", "Quello che perde i pezzi" e "C’è solo la strada", conquistano il loro spazio nella messa in scena senza scavalcare la drammaturgia, ma anzi suggellandone il senso e lo spirito.

Note di regia
Errori, distrazioni, smagliature, falle. Addirittura eccellenti omissioni. Sull’eterna questione tra significato e significante (Lacan: “il discorso non è nell’essere parlante”), il teatro è intervenuto e come. E non poteva essere altrimenti! Mestiere difficile, pratica vocale e non, espressione di pensieri-suoni sempre carichi di senso, anche quando privati del contesto originario.
Il ventesimo secolo è fuggito lasciando tracce evidenti: attori (magistrale Carmelo Bene), registi, teosofi (Rudolf Steiner su tutti) hanno cercato di mettere ordine e di proporre una diversa grammatica per l’interprete alla luce delle sconvolgenti tesi di De Saussure («preso in se stesso, il pensiero è come una nebulosa in cui niente è necessariamente delimitato, non vi sono idee prestabilite e niente è distinto prima dell’apparizione della lingua»). Senza dimenticare Nietzsche: «ciò che nel linguaggio meglio si comprende non è la parola, bensì il tono, l’intensità, la modulazione, il ritmo con cui una serie di parole vengono pronunciate. Insomma la musica che sta dietro le parole, la passione dietro questa musica, la personalità dietro questa passione: quindi tutto quanto non può essere scritto». Con il declino delle ideologie marxiste – in teatro riproposte più volte da varie generazioni di autori sempre attenti al valore semantico della parola (e cioè Brecht, Pasolini, perfino il Living Theater) – Gaber con Il grigio vira decisamente verso la carne dell’anima, il suono primordiale, la voce che è ascolto delle cose che si spengono. E così ha fatto Teatro In Fabula.
Morto l’individuo, sommerso da masse viziosette e poco solidali, morto lo spirito, vive tuttavia una voce, una voce che vibra nonostante tutto, senza microfono e con una chitarra. Forse questo Gaber, il Gaber de Il grigio, rivela scandalose vicinanze: pensiamo a Beckett, a Salinger. Forse, ancora una volta, si tratta dell’uomo della guerra. Forse dal secondo conflitto mondiale non siamo mai usciti. Beckett e Salinger lo suggeriscono benissimo. L’essenziale sobrietà del loro dettato ha catturato anche Gaber, inevitabilmente. Abbiamo, noi di Teatro In Fabula, cercato di restituire tutto questo.

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