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Reparto Numero 6

Nomen Omen

Genere
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Regia: Danilo Zuliani Alessandra Maccotta

Drammaturgia:

Attori: Luciano Ciandra, Andrea Adinolfi, Danilo Zuliani

Altri crediti:

Parolechiave:

Produzione:

Anno di produzione: 2012

Genere:

Il racconto Cechoviano, nel testo elaborato per la scena da Susanna Gentili, diventa un'occasione per gettare uno sguardo su ciò che succede "dentro".
Un detenuto tormentato (Luciano Ciandra) e un medico mediocre (Danilo Zuliani) in un reparto penitenziario. Due punti di vista differenti: uno dentro, l'altro fuori.
Dall'incontro dei loro vissuti nasce un dialogo sul senso della giustizia, il valore della sofferenza e il significato della vita. Il medico rompe il cerchio delle sue oziose abitudini e cerca l’amicizia di Ivan che lo sferza con una frusta di parole, penetra nei suoi pensieri, smonta le sue teorie ma gli fornisce gli attimi che più desidera: quelli trascorsi a condurre una conversazione “intelligente”. Sullo sfondo la bassezza di chi agisce nel nome dell'autorità (Nikita, Andrea Adinolfi) e le atrocità che nessuno vede e nessuno si preoccupa di interrompere.
Sul palco una scenografia essenziale: un’impalcatura (l’istituzione), un separé (la differenza), un rocchetto e dei manichini attaccati con delle funi (l’immobilità). In platea: una poltrona, dei libri, un computer (l’isola felice). Il carcere, luogo maledetto de umanizzante e de umanizzato, i meccanismi dell’istituzionalizzazione e i suoi prodotti, sono simboleggiati dalle routine che vivono i protagonisti della storia. Il detenuto, costretto all’immobilità perenne, non ha niente dell’eroe o dell’antieroe. E’ una maschera realistica di un’umanità a brandelli, sezionata dal processo di mortificazione del sé che le istituzioni totali perseguono. Un’umanità che trova altre strade per sopravvivere a discapito delle privazioni. Dove finanche il chiudersi in una coperta diventa l’estremo atto di difesa e il suicidio l’ultima fuga. Il carceriere è il braccio dell’istituzione che cinge il detenuto nel sistema punizione-privilegio. E’ colui che agisce nel perseguire la spoliazione delle singole identità, attraverso l’oggettivizzazione fisica del materiale umano ad egli affidato. Sottomesso anch’egli alla burocrazia formale riversa i rancori verso i superiori nella repressione quotidiana dei sottomessi. Il medico, in ultimo, che apre la scena lavandosene le mani, sorvola su quanto accade in carcere: se ne distacca completamente. Il suo è un distacco esistenziale, protettivo, rinchiuso nelle difensive routine quotidiane fatte di birra, libri e speculazioni filosofiche. E’ colui che ha scelto una linea di disimpegno dalla vita sociale, alla ricerca di una vaga forma di intelligenza che rimarca nella purezza della lingua contro il linguaggio gergale della quotidianità. Ivan lo attrae perché rappresenta ai suoi occhi “l’uomo pensante” informe, allo stato puro. Questa attrazione intellettuale segna in lui un cambio di prospettiva, un coinvolgimento emotivo che lo porterà dall’altra parte non solamente in senso metaforico. Le privazioni dell’incarceramento e l’isolamento, da egli vagheggiate come ottima via per l’elevazione spirituale, gli si paleseranno in tutta la loro spietata drammaticità.

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