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Ines e Garcin

Associazione Artistico Culturale Aletheia

Genere Prosa
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Regia: Massimo Giannetti

Drammaturgia: Associazione Artistico-Culturale Aletheia - Liberamente ispirato da "A porte chiuse" di J.P. Sartre

Attori: Daniela Damiani e Saverio Fiano

Altri crediti: Presentato per la prima volta nel settembre 2015. Verrà presentato il 7 dicembre 2015 a Belgrado (Serbia), nell'ambito del Festival Internazionale di Teatro Contemporaneo "Trasgression"

Parolechiave: Inferno, Relazione, Altro, Porte, Sartre

Produzione: Associazione Artistico-Culturale Aletheia

Anno di produzione: 2015

Genere: Prosa

Partendo dallo stimolo dell’opera di J.P. Sartre, il gruppo teatrale dell’Associazione Aletheia attraverso il suo regista drammaturgo Massimo Giannetti ha realizzato uno spettacolo denso di contenuti e di tematiche esistenziali, evidenziando particolarmente quell’aspetto della condizione umana, caratterizzato dalla necessità-obbligo della interazione assolutamente condizionante tra l’Io e l’Altro. Interazione che può essere assimilata teatralmente ad una condizione di “vita all’inferno”concretamente realizzata nella messa in scena e attraverso la dinamica dei rapporti tra i due personaggi: Ines e Garcin.

Nello spettacolo infatti l’Inferno non è altro che una semplice stanza, arredata in stile piccolo-borghese in cui due personaggi, un uomo, Garcin, e una donna, Inès, sono condannati a convivere per l’eternità, ricreando seppure in maniera estremizzata la condizione di relazione ravvicinata e obbligata tra due persone. Nessun giornale, nessun orologio funzionante, nessuna finestra, nessun carceriere, nessuna tortura. Niente. Solo la presenza fisica dell’altro, la propria coscienza e la possibilità di vedere il modo in cui i propri conoscenti ancora in vita reagiscono alla loro morte, immagini che si rarefanno quando cominciano ad affievolirsi i ricordi della passata vita, che si dimostra a sua volta, appunto come un inferno.
Personaggi assoluti che però hanno storie significative che hanno caratterizzato la loro vita: la paura, la noia, l’egoismo, la malvagità. Inès é la prima a realizzare che ad infliggere loro la vera tortura non sarà un demonio o un boia, ma saranno loro stessi a tormentarsi reciprocamente.
Lei col suo bisogno di espiazione, pronta ad assumersi le sue responsabilità, sapendo bene di meritarselo. Mentre Garcin si ritiene senza colpa e cerca la redenzione nell’approvazione del suo operato da parte dell’altro, di Ines. Ma lei si rifiuta di stare al gioco, costringendo entrambi invece a fare i conti con le loro azioni e il modo in cui esse sono state percepite dagli altri.

Da qui l’amara constatazione che esistiamo solo attraverso – e grazie – agli altri, e sono i loro giudizi, la loro percezione di noi a definirci. E’ da questa metafora della realtà che esce la vera condanna dell’inferno: essere condizionati dalla presenza e dal giudizio altrui, da cui si vorrebbe attenzione e riconoscimento, consapevoli che qualsiasi cosa noi facciamo, l’ultima parola spetterà sempre agli altri. Un gioco di bisogni e di rifiuti. E questo “gioco obbligato” di relazione con l’altro, non finirà mai, come l’inferno, diventando una condanna, ma al tempo stesso una sfida. La grande sfida della vita. Non ci saranno né vinti né vincitori. Solo persone.

La drammaturgia dello spettacolo ha voluto evidenziare questa metafora apparentemente amara, importante spunto di riflessione sul condizionamento alla propria libertà, ma presa di coscienza attiva e costruttiva.
L’altro è il mio inferno, ma allo stesso tempo anche il mio specchio.

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