Regia: Rosario Mastrota
Drammaturgia: Rosario Mastrota
Attori: Dalila Cozzolino, Andrea Cappadona e Gianni Spezzano
Altri crediti: scenografia Zelia Carbone grafica Nicola Mastrota l ogistica Ettore Nasa testo, luci e regia Rosario Mastrota produzione Compagnia Ragli con il patrocinio di Associazione Antimafia daSud
Parolechiave: Roma, Ludopatia, Azzardo, Matinee, Ragli
Produzione: Compagnia Ragli
Anno di produzione: 2015
Genere: Prosa
“E poi c’è il giocatore. Ingenuo. Credulone. Che si seppellisce davanti a quello schermo.
Diventano zombie. E per scollarli o arriva la polizia a cercarli o li arrestiamo noi. Li usiamo. Per
ripulire, li usiamo. Insert coin si chiamano. In inglese. In italiano: Ficcasoldi.”
Ettorino, un barista, ha accolto nel suo bar diverse slot machines: in tempo di crisi fare solo caffè
non è molto retributivo. Qualcuno ritorna spesso, qualcuno è di casa. Un uomo senza nome, per
noi Ficcasoldi, vive la deteriorante ascesa della ludopatia, l’erosione dell’autocontrollo,
l’impossibilità di venirne fuori, ficcando la sua vita, pezzo dopo pezzo, nella macchinetta infernale.
L’ebbrezza del gioco apparirà più fragile dell’altra malattia celata nel bar: un’organizzazione
malavitosa gestisce quel business, trasformando le slot in casseforti di denaro da riciclare.
Ficcasoldi è uno spettacolo che inquadra, nel particolare, un male universale, quello di una
società, vittima di una crisi celebrata, che cede alle lusinghe del “vincere facile”.
E’ dalla realtà che parte questa storia. Parte da un pomeriggio di fine giugno, affacciati alla
finestra per un incontro casuale, vediamo una ditta di traslochi che impacchettava libri in
scatole di cartone. Focalizziamo meglio l’attenzione e vediamo che gli operai vanno e vengono
da quella che prima era una libreria, la mitica libreria di filosofia. I proprietari in un angolo, a
testa bassa, consegnano le chiavi ad un rossiccio signore, l’unico sorridente. Fino all’ultimo
libro respirammo quella condanna, poi il camion partì e ne arrivò un altro, lucido, splendente.
Scesero degli operai in nero, scaricavano slot machines. L’insegna verde “libreria” venne
staccata con rapida facilità da due ometti calvi, altri due, capelloni, attaccarono la nuova
mastodontica insegna rosso e nera, la scritta cancellò la nostra speranza: Las Vegas era
nostra dirimpettaia. All’inaugurazione, la stessa sera, c’era una moltitudine di gente, ci
apparvero tutti uguali, fotocopiati. I nuovi clienti. Era la sesta sala slot del quartiere, la
centesima della città. I conti in Italia decidemmo di non farli, sarebbero stati fantasmagorici.
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