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HAMLE-TRONIC (Hamlet-Routine in musica elettronica)

Ass. Teatro Studio Maschera

Genere Teatroragazzi (12-20) Prosa Performance
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Regia: Fabrizio Paladin

Drammaturgia: Adattamento da W. Shakespeare di Fabrizio Paladin

Attori: Fabrizio Paladin Tommaso Mantelli

Altri crediti: Tecnico audio - luci Loris Sovernigo

Parolechiave: Amleto, Paladin, Elettronica, Maschera,Essere

Produzione: Teatro Studio Maschera

Anno di produzione: 2016

Genere: Teatroragazzi (12-20) Prosa Performance

Cosa c’entra il cupo, elisabettiano, principe di Danimarca con la psichedelica musica elettronica del XXI secolo? Cos’hanno in comune Fabrizio Paladin, attore, regista e drammaturgo esperto di Commedia dell’Arte, suo ambasciatore nel mondo e Tommaso Mantelli, in arte Captain Mantell, autore già noto da anni nel panorama musicale italiano e internazionale? La risposta in entrambi i casi è molto, davvero, molto più di quello che non sembri ad un primo sguardo.
Basta pensare d’entrare nella mente, anzi no, nel cervello di qualunque essere umano, non importa se uomo o donna, giovane o vecchio, ricco o povero, e figurarsi la miriade di neuroni, d’interconnessioni tra sinapsi in forma di flussi elettrici d’informazioni, per comprendere come non esista linguaggio più adatto per cogliere e trasfigurare le emozioni, i pensieri, le allucinazioni che muovono e sconvolgono i personaggi della celebre tragedia shakespeariana a partire proprio da lui, Amleto. La tragedia d’Amleto nasce e si sviluppa nella materia grigia del triste principe, rimasto improvvisamente orfano, costretto a misurarsi con la vita, quella vera, quella che aveva sempre fuggito. Così lo spettatore si trova a seguirne i percorsi, i flussi di coscienza, ad incontrare Ofelia, Laerte, Orazio, Polonio, attraverso i filtri mentali di questo giovane confuso e arrabbiato, depresso e furente, folle e sconsolato, una forma mentis che prende corpo e sostanza grazie all’arte di Captain Mantell, alla sua sapienza di performer elettronico.
Uno spettacolo che riesce a toccare le corde più profonde e oscure di ognuno di noi perché entra nella nostra testa, come una goccia, inesorabile, scava la pietra così le note ridondanti e ripetute della consolle, le luci stroboscopiche che vivisezionano il corpo attorico di Paladin, superbo interprete non di personaggi ma di anime e dei mali che li affliggono.
Non importa se egli in quel momento presta la voce ad Amleto o alla sua Ofelia, come nello splendido “duetto” con chitarra elettrica che vede i due giovani scontrarsi, incontrarsi, lasciarsi, Fabrizio Paladin ci restituisce le anime scarnificate a morsi di note stridule di un’umanità alla deriva giacché egli, in quel momento cade, cade con tutti loro senza appigli per fermarsi:
«L’Amleto è una caduta libera. Tutti sanno benissimo che la situazione sta precipitando, chi fa finta di niente, chi nega l’evidenza, chi finge d’amare, chi non si risolve ad agire. Non succede niente, l’azione è intrappolata nel vischio del pensiero e ognuno aspetta lo schianto. Non c’è speranza, c’è solo attesa. Ecco cosa è Amleto per me, connessioni elettroniche del cervello. La violenza senza respiro della musica elettronica, la ripetitività di note prive di armonici mi ricorda il metallico sapore del sangue. Lamiere di suono nel sangue del pensiero. Tommaso mi ha proposto un po’ di pezzi che non era riuscito a far diventare canzoni... come se nel dubbio fossero rimaste ad aspettare. Erano Amleto ancora prima». Fabrizio Paladin

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