Regia: Pino Carbone
Drammaturgia:
Attori: Francesca De Nicolais
Altri crediti:
Parolechiave:
Produzione:
Anno di produzione: 2014
Genere: Prosa
La sensazione è quella di assistere a uno spettacolo che non dovrebbe avere luogo.
Perché di Stefano Cucchi, a teatro, non si dovrebbe parlare.
Perché è una storia che nessuno vuole sentire. Perché non c'è niente da rappresentare.
Un ragazzo di 31 anni è morto mentre era sotto la custodia dello Stato, per usare un'espressione da libro di denuncia, o da teatro di narrazione. Per usare un'espressione che userebbe chi riesce a restare virtuosamente lucido di fronte alle tragedie.
Io questa virtù non la possiedo, quindi "perdonate la mia incoscienza incivile".
Un ragazzo di 31 anni è morto. punto.
È entrato in carcere sulle sue gambe, è uscito cadavere dal reparto di medicina protetta di un ospedale una settimana dopo. punto.
Senza poter vedere i suoi familiari. punto.
Senza potersi neppure cambiare i vestiti e la biancheria. punto.
Sul suo corpo sfigurato vistosi segni. punto.
In quel letto d'ospedale i sudori acidi di una solitaria astinenza. punto. E a capo.
In scena, l'attrice fa la regia a se stessa, passando per Charlot , il vagabondo nei cui panni, sempre troppo grandi per il suo esile corpo, Charlie Chaplin ha vestito tutti gli ultimi, e nel film “Luci della città” si improvvisa improbabile boxeur, come lo era Stefano Cucchi, che praticava boxe a livello amatoriale. Un improbabile peso piuma.
Nell'epoca in cui tutti reclamano spiegazioni razionali, la parola, il corpo, l'azione, reclamano il loro diritto ad essere anche parola, corpo e azione poetica.
Anche invocazione.
Anche bestemmia.
Anche ritmo o soltanto rumore.
Rivendicano il loro diritto alla scostumatezza.
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