 
        Regia: Gesualdi | Trono
Drammaturgia: Loretta Mesiti
Attori: Giovanni Trono, con la partecipazione del pubblico
Altri crediti:
Parolechiave: Debord, schermocrazia, prosumer, ibridazione, alienazione
Produzione: Arte Grado
Anno di produzione: 2024
Genere: Teatro-danza Performance
            A partire da un\\\'indagine sul pensiero di Debord, indaghiamo lo statuto dell\\\'immagine nell’epoca della \\\"schermocrazia\\\". Monás è un\\\'opera ibrida tra installazione partecipata, autopoiesi coreografica e live cinema, che dà vita ad una “micro-società provvisoria”, uno spazio di coesistenza. Il dispositivo scenico a cui partecipa il pubblico è concepito come un ecosistema, all’interno del quale è possibile fare esperienza del differimento del proprio corpo in immagine, per riflettere sul rapporto tra spazio reale e spazio di rappresentazione; e come in questa frattura si subisca o si pratichi un esercizio di potere. In una reciproca interferenza, il corpo e il suo doppio danno vita ad un paesaggio fatto di figure alla \\\"deriva\\\", che nello schermo restano evocazione e rappresentazione. Quando il gioco si consuma in ripetizione, appare la sostanza reale delle cose.
Gli spettatori \\\"nomadi\\\" entrano in uno spazio scenico scomposto in funzioni elementari. Essi possono scegliere spontaneamente di occupare le diverse frazioni dello spazio, abitandolo in azione, osservazione, lettura, ascolto e muovendosi liberamente tra una funzione e l\\\'altra, sostando in una sola frazione o tornando all\\\'occorrenza a quelle precedenti. Lo spazio è diviso in due parti da un setto/schermo, che accoglie una proiezione, la stessa su entrambi i lati. Da un lato dello schermo c\\\'è lo spazio dell\\\'azione, dall\\\'altro quello della contemplazione. Dal lato dell\\\'azione gli spettatori, in numero limitato, indossano delle cuffie, ascoltando musica techno (Turbocapitalism Continuum, Amptek), e sono di fronte ad una videocamera che cattura in tempo reale la loro figura, restituendone un\\\'immagine trasfigurata da un software, che ne aumenta il tempo di esposizione, diminuendo il numero di fotogrammi al secondo, frammentando il movimento, fino a farne perdere la definizione e oltre, fino a far scomparire le parti del corpo. Ne deriva un\\\'immagine dalla qualità tragica, contrapposta al movimento \\\"dal vero\\\" che risulta ridicolo. Dal lato della contemplazione, gli spettatori siedono di fronte allo schermo, che accoglie la proiezione di quel che accade nello spazio d\\\'azione, mentre ascoltano l\\\'audio del film di Debord \\\"Sur le passage de quelques personnes à travers une assez courte unité de temps\\\" (1957), il cui testo è stato frammentato e ricombinato dalla funzione random di un lettore musicale. In questa opera \\\"Debord coglie la città come metafora del mondo e ci rovescia dentro didascalie, citazioni colte, immagini di banalità ordinarie.\\\" (Pino Bertelli 2015). Una \\\"diserzione\\\" d\\\'autore.
Mentre gli spettatori abitano spontaneamente lo spazio scenico, il performer, attraverso una relazione singolare ed esclusiva con il suo doppio nello schermo, lavora all\\\'elaborazione e alla collezione di gesti che nutrono la composizione di un discorso ricorsivo messo in figura sullo schermo, una mise en abyme.
Il corpo del performer scrive e si inscrive tra la massa dei passanti \\\"in una determinata unità di tempo\\\".
          
Informazione riservata agli Organizzatori
Link:
Informazione riservata agli Organizzatori
 
				 
				 
				 
				 
				 
				 
				 
				 
				 
				 
				 
				