Regia: Debora Binju Binci e Andrea Fazzini
Drammaturgia: Debora Binju Binci e Andrea Fazzini
Attori: Debora Binju Binci
Altri crediti: cura dello spazio Yesenia Trobbiani Speroni cura del suono Cecilia Stacchiotti e Roberto Salvati movimento scenico e sostegno alla mise en scène Antonella Boccadamo voce fuori campo Ennia Pennacchioni direzione tecnica Roberto Salvati immagine manifesto Marco Smacchia
Parolechiave: provincia, autoralità, attrice-autrice, poesia
Produzione: coproduzione Teatro Rebis e Teatro dei Mignoli in collaborazione con AMAT e Comune di Pesaro per RAM – Residenze Artistiche Marchigiane, progetto promosso da MiC e Regione Marche
Anno di produzione: 2025
Genere: Prosa
SS16 è uno spettacolo che dipinge la marginalità della provincia marchigiana: un frammento di mondo residuale e dimenticato, disgraziato ma fortemente attaccato alla vita, che tanto ha di peculiare quanto di universale e ascrivibile a qualunque esistenza fuori dai centri.
Chi percorre lunghi tragitti su ruote, chi consulta le mappe o chi ancora legge gli stradari sa che la SS16 è la strada statale più lunga d\'Italia: collega Padova a Otranto, da Nord a Sud corre parallela al mare Adriatico. Per chi invece su questa statale abita, e raramente sposta il proprio punto di vista, la SS16 è la “nazionale” che circoscrive il perimetro del proprio microcosmo: la percezione è quella di una strada familiare lunga pochi chilometri ma che tutto contiene. Questione di sguardi. SS16 è un road trip ipnotico tra i paesaggi e i ricordi dell\'autrice e attrice Debora Binci, marchigiana transfuga giovanissima dalla Provincia, che con nostalgia si riavvicina al proprio territorio di origine ritrovando chi quelle zone non è mai riuscito a lasciarlo, chi non ha mai guardato alla possibilità di farlo, e chi – come nel caso del poeta Franco Scataglini – è riuscito a restare mantenendo uno sguardo incorrotto, arrivando a poter descrivere il sublime che si nasconde dietro gli angoli più impensabili.
Ripercorrendo la sua vita a partire dall\'infanzia ed evocando di volta in volta luoghi e paesaggi, emergeranno vari personaggi: derelitti, marci, e tremendamente attaccati alla vita. Sono i volti della Provincia, peculiari e archetipici allo stesso tempo, un territorio che per estensione rappresenta la parte maggioritaria del nostro Paese, e che ciononostante resta troppo spesso inespressa - se non per luoghi comuni. Tutto il racconto si svolge in una crescente tensione all\'allontanamento: mano a mano che ci si addentra, la repulsione cresce assieme alla voglia di andarsene. “Nelle Marche il sabato sera non si esce, si scappa. Veramente, si dice così, ci sarà un motivo”, inizierà così una rocambolesca fuga sballottata dalla voglia di salutare tutto e tutti prima di dire addio.
La scena si presenta spoglia, con un grande cubo composto da mattoncini Lego e un registratore a bobine, dal quale emergeranno voci, musiche, ambienti, come i vecchi nastri più volte sovrascritti, fino a creare una sorta di compilation dadaista, da Caterina Caselli alla Tekno old school. Come se quella bobina avvolgesse il nastro della memoria della protagonista, con le deformità e le metamorfosi che il tempo applica ai ricordi più reconditi e più radicati.
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