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LA GUERRA DI ECUBA

IMAGO

Genere Prosa Performance
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Regia: ROBERTO CAVOSI

Drammaturgia: ROBERTO CAVOSI

Attori: Alessandra Fallucchi

Altri crediti: Scritto e Diretto da Roberto Cavosi Aiuto regia: Lorenza Molina Con Alessandra Fallucchi Musiche Alfredo Santoloci Scene e Costumi Sandra Cianci Luci Gerardo Buzzanca

Parolechiave: ROBERTO, ALESSANDRA

Produzione: IMAGO In collaborazione con Napoli Teatro Festival

Anno di produzione: 2025

Genere: Prosa Performance

“La Guerra di Ecuba”, drammaturgia in forma di monologo, è il dolente e feroce racconto del mito di Ecuba reincarnato in una madre universale a cui la guerra ha strappato i suoi figli. La protagonista percorre una lacerante Via Crucis che ha per stazioni, senza un ordine cronologico coerente, le più sanguinose battaglie che si sono ineluttabilmente susseguite nei secoli: dalla caduta di Troia a Hiroshima, da Stalingrado a Nassiriya, da Lepanto a Gaza, da Costantinopoli a Sarajevo... Il collante narrativo dei vari quadri è il filo rosso del mito di Ecuba: una donna capace d’insultare con una tale forza i carnefici dei suoi figli, Ulisse per primo, da trasformarsi in una cagna rabbiosa dalle tremende mascelle capace di tritare anche i sassi. Una figura spaventosa ma allo stesso tempo profondamente ferita. Una donna che non può più trovare pace, condannata ad una sofferenza senza fine, continuamente alla ricerca di un raggio di luce dal cielo che possa ridarle equilibrio. Dal suo racconto emerge una lucida e severa condanna verso qualunque guerra, passata o presente: specchio del fallimento di tutto il genere umano.
Lo spettacolo, nell’approfondire comunque gli aspetti psicologici di Ecuba, dai suoi “sordi gridi” di disperazione e rabbia, al continuo sanguinare del suo cuore in eterno lutto, intraprende una strada antirealistica e antiretorica ove far emerge il potente J’accuse di una madre costretta a subire all’infinito, come in un girone infernale, lo strazio della sua stessa carne mandata al macello. In una scena scabra, la regina Ecuba è spogliata di tutto e non ha che una scodella per cani per abbeverarsi, un lacero impermeabile per vestirsi, povere coperte su cui poter distendersi, una vecchia valigia con le sue poche cose. Troia è lontana, una città che la guerra ha spazzato via dal tempo e dallo spazio, ma che non ha potuto cancellare l’orrore della morte, l’amore di una madre che non rivedrà mai più i suoi figli. La sua unica consolazione è il dolce ricordo dell’ultimo bacio, dato al primogenito in un caldo tramonto estivo prima che partisse soldato.

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