Regia: Marco Laudani
Drammaturgia: Marco Laudani - Sergio Campisi
Attori: Ismaele Buonvenga
Altri crediti: assistente alla coreografia Rachele Pascale | musiche di Domenico Modugno, Frank Sinatra, Davidson Jaconello, Stefan Levin, Ludwing van Beethoven | costumi di Claudio Scalia, realizzazione a cura di Gabriella Palomba | testi di James Joyce, Debora Benincasa a cura, con adattamenti, di Sergio Campisi e Ismaele Buonvenga.
Parolechiave: Icaro, Mito
Produzione: produzione ocram dance movement con il sostegno di Scenica Festival e la collaborazione di Scenario Pubblico Centro di Rilevante Interesse Nazionale
Anno di produzione: 2024
Genere: Teatroragazzi (8-100) Danza Performance
“Quando un’anima nasce in questo paese le vengono gettate delle reti per impedire che fugga. Tu mi parli di religione, lingua e nazionalità: io cercherò di fuggire da quelle reti”.
L’essere umano non ha ali. Si muove camminando, tutt’al più correndo, ma sempre orizzontalmente. Ecco perché le nostre fantasie di libertà sono legate sempre ad un’ascesa, il volo, o ad una discesa, come lo scivolare o il lasciarsi andare.
La vita è un tuffo in un labirinto orizzontale. La libertà è un movimento verticale, un volare verso le stelle, o un tramontare delle stesse.
Il desiderio indica l’attesa di un qualcosa, una promessa di Bene, la stessa pulsione vitale del cuore di Icaro che lo porta inevitabilmente a continuare a cercare cosa, o meglio “chi”, sia capace di soddisfare il suo ardente desiderio.
Icaro è il tracotante, è colui che pecca di hybris, è l’incoscienza, la disobbedienza, l’oltraggio.
Ma Icaro è anche il coraggio di volare, la voglia di conoscere, la ricerca della libertà, l’andare incontro al rischio per raggiungere grandi obiettivi, il puntare in alto, direttamente al sole, sebbene il pericolo sia quello di bruciarsi e, più in alto si sale, più rovinosamente si può precipitare.
Il mito
Nella mitologia greca Icaro è il figlio di Dedalo, inventore e costruttore del labirinto per il Minotauro. A padre e figlio è stato impedito di lasciare Creta, per non svelare a nessuno i segreti del suo labirinto. Per fuggire a tale imposizione, Dedalo costruisce delle ali che attacca ai loro corpi con la cera. L’invenzione funziona e i due riescono a volare via. Ma Icaro, investito dall’ebbrezza del volo non ascolta i paterni ammonimenti di restare lontano dal sole e se ne avvicina sempre di più, finché il calore scioglie la cera e lo fa precipitare in quella parte del mare che prende il suo nome: Mar Icario.
Nel romanzo Dedalus di James Joyce – che si richiama ampiamente al mito – il protagonista Stephen, alter ego di Joyce, afferma: “Quando nasce l’anima di un uomo in questo paese, le vengono gettate reti per impedirle di fuggire. Mi parli di nazionalità, di linguaggio, di religione. Io cercherò di sfuggire a quelle reti”.
In queste parole – che si ripresentano più volte (ai tre simboli di nazionalità, linguaggio e religione corrispondono, inoltre, tre immagini corporee precise che Buonvenga ripete) – si concentra la chiave di lettura dello spettacolo: la volontà di stravolgere l’immagine che più tradizionalmente si ha di Icaro. Icaro non è più, qui, l’anti-eroe che troppo osa e tutto perde, il giovane incosciente a tal punto da sfidare il sole senza esserne all’altezza, ma colui che riesce ad andare oltre le costrizioni e i dettami prestabiliti dalla società, colui che ha desiderato liberarsene, ha desiderato volare via fino a sopra il sole e, anche se solo per un attimo, ce l’ha fatta.
Informazione riservata agli Organizzatori
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