Regia: Ettore Nigro
Drammaturgia: Sharon Amato
Attori: Anna Bocchino, Clara Bocchino
Altri crediti: In via di definizione
Parolechiave: Violenza, femminicidio, patriarcale, podcast,
Produzione: Piccola città teatro
Anno di produzione: 2023
Genere: Prosa
NOTE DI REGIA
Immaginare di poter sviscerare la “questione femminile” nella porzione di tempo di uno spettacolo è sicuramente impresa folle e impossibile, tuttavia questa impossibilità non deve essere una scusa per rimandare un appuntamento così importante. Questa è stata la mia premessa quando decisi di incamminarmi lungo questo il percorso tortuoso. Immediatamente mi è apparso il titolo di una poesia “la voce a te dovuta”, lo spettacolo non intende essere né un j’accuse diretto, né una relazione sociologica, ma è un atto d’amore, amore come reale, unico antidoto ad ogni forma di discriminazione. Le due sorelle (gemelle) interrogandosi, interrogano il pubblico sia in sala, che quello immaginato nel loro podcast, aprono uno spazio interiore dal quale fare uscire un amorevole coraggio di esporsi, non di imporsi, l’intervento della parola poetica funge da motore maieutico per intenerire la spessa “scorza” frapposta tra la volontà di “essere accettate” e la società odierna che le vorrebbe ancora in una certa misura, non dico prigioniere, ma sicuramente sopite. Ci troviamo quindi di fronte ad un gigante, contro il quale sembra che si sia ancora fatto poco; forse perché intimoriti dalla sua vastità? Ma questo gigante è composto da milioni di silenzi, di storie piccole e personali, di tragedie accettate perché non percepite come tragedie. Le due sorelle attraverso il dar voce e accogliendo le storie singole dissolvono il gigante facendocelo vedere per quello che è: un mostro composto da milioni di piccole storie, ecco allora che il gigante si smembra e tutto diventa alla nostra portata. Come uomo, ed anche per questo ho
deciso di intraprendere questo processo, voglio incidere una strada, per comprendere se anche in me possano esserci echi di una discriminazione indotta da anni e anni di “ educazione “ che hanno favorito lo status in cui siamo immersi.
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