Generi: Prosa
ATTO UNICO DURATA 90 MINUTI

NOTE DI REGIA
Da bambino ero affascinato da quei libri fotografici che raccontavano viaggi. Mi chiudevo in camera e cominciavo a sfogliarli e bastava voltare pagina per percorrere migliaia di chilometri. E fra tutti i viaggi fatti ce n’era uno che amavo particolarmente. Era una grande laguna tropicale. Rimanevo incantato dal colore purpureo delle ninfee che coprivano quasi tutta la superficie dell’acqua. Curioso ed affascinato da quel soffio di colore sospeso tra il cielo e la laguna, chiesi di poterne vedere una dal vivo. E mi portarono al laghetto di Villa Borghese. Non era certo una laguna caraibica, non era certamente una distesa infinita come quella che avevo disto, ma un piccolo gruppetto, fitto, di grandi ninfee aggrappate fra loro. Non erano i colori vividi e sgargianti che ricordavo, ma rimandavano la stessa sensazione di leggerezza e consistenza, come fossero fatte di cartilagine, cera o vetro. La voglia di toccarle fu irresistibile. Con un gesto deciso immersi la mano nell’acqua e di colpo svanì la poesia. La sensazione disgustosa di ciò che la mia mano incontrò al di là del pelo dell’acqua, rimane il ricordo più indelebile che la mia pelle sia stata in grado di custodire. Quel miracolo nascondeva un segreto. Sotto la meraviglia, l’orrore. A nutrire quel meraviglioso fiore non c’era acqua limpida, ma una miscela salmastra, maleodorante di fango e acqua putrida, vischiosa, oleosa. Mi è capitato spesso di ripensare a questa immagine, come se quel gruppetto di ninfee aggrappate fra loro, fosse un’anticipazione, un presentimento, una proiezione di alcune delle donne che avrei incontrato nella mia vita. Personaggi reali o irreali. Grandi amori o donne che esistevano soltanto fra le pagine di un copione. Sentire il bisogno di parlare di Edith è sentire il bisogno di immergere quella mano in quell’acqua salmastra, parlare di Edith vuol dire aver preso consapevolezza che la bellezza, la meraviglia e il miracolo non esistono senza una palude salmastra su cui attecchire e da cui trarre nutrimento. Je m’en fous è soprattutto la storia di una donna, che non ha niente, ma ha tutto: la passione. Una donna senza radici, la proiezione adulta di una bambina senza amore, la divina cantante contesa da impresari ingordi, consumata da un pubblico avido, sfinita dai continui conti che la vita la costringerà a pagare. La musica, l’amore, la libertà, il bisogno di appartenere, la volontà di essere oltre la propria immagine, oltre il proprio ruolo, oltre la propria fama. Una donna che non si accontenta, una donna che non rimpiange nulla, ma che chiede solo di essere ascoltata, attraverso le canzoni, le grida di rabbia, le parole d’amore sussurrate al telefono, i respiri trattenuti, le smorfie di dolore ed i sorrisi. Non rimpiange niente di ciò che è stata e se, nonostante tutto, ci sarà chi non avrà avuto la voglia di ascoltarla raccontarsi per quello che è, per quello che è davvero, non resta che rispondere “Je m’en fous”

Produzione: ASSOCIAZIONE TEATRALE VIAGGI&MIRAGGI