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TOMATO SOAP Teatronovela sulla violenza di genere in un'unica puntata

Manimotò
Regia: Lydie Le Doeuff
Drammaturgia: Ariela Maggi e Giulio Canestrelli
Attori: Ariela Maggi, Giulio Canestrelli
Trailer: Link
Anno: 2013


Generi: Teatroragazzi (12-99), Figura

Tags: Pupazzi, Manimotò, violenza di genere, donna

TOMATO SOAP
Teatronovela sulla violenza di genere in un’unica puntata

È un paradosso: la disumanizzazione della finzione teatrale di “TOMATO SOAP” riesce ad abbattere quel muro fatto di imbarazzi e di tabù che spesso impedisce una riflessione profonda sul problema della violenza di genere, e infine umanizza i personaggi, li avvicina a tutti noi, in un messaggio universale che ci chiama in causa e ci mette in movimento.
Cora Ranci, QCODE MAG

TOMATO SOAP porta in scena il tema della violenza di genere raccontando la storia di un uomo e una donna che pensano di darsi amore e si danno morte.
Seguiamo le vicende di Gianni e Gilda dal loro primo incontro, l’innamoramento, la costruzione di una vita insieme, fino a diventare spettatori dell’incrinarsi del rapporto e della prepotenza con cui la violenza ne diventa protagonista. Cogliamo le ritualità malate che si insinuano nella coppia, e la malintesa capacità di perdono che ne sostiene la terribile sopravvivenza.

Gianni e Gilda sono due pupazzi di gommapiuma a grandezza umana, marionnettes portés, manipolati a vista dagli attori. Ma la storia dei pupazzi è anche il gioco della coppia di attori-manipolatori, che sotto gli occhi del pubblico scambiano le carte, invertendo i ruoli: è infatti l’attrice a fare l’uomo e l’attore a fare la donna.
A dispetto della gravità del contenuto, TOMATO SOAP utilizza un linguaggio lieve, visuale, ironico, muto, accompagnando gli spettatori al limite della risata, là dove la tragedia diventa grottesco.

Due pupazzi, due attori e un tema

La scelta di utilizzare dei pupazzi nasce dal tentativo di evitare la retorica facilmente associabile al tema della violenza di genere.
Il pupazzo ha una sua forza intrinseca: bypassa la prudenza etica, rompe per sua natura la quarta parete e guarda il pubblico negli occhi, inducendolo a un’immedesimazione più immediata e primitiva. La poetica del pupazzo, basata sull’azione, suscita emozioni in modo fisico e diretto, le amplifica ed esaspera, le porta all’estremo, oltrepassando il reale attraverso il grottesco ed evitando le trappole del melodramma.
Il pupazzo permette anche agli attori l’inversione dei sessi, costringendo tutti a misurarsi con gli stereotipi e i pregiudizi di genere, imponendo una posizione scomoda, che obbliga a una riflessione più complessa.
Alle spalle dei pupazzi, compresente all’azione, l’attore – fragilmente e disperatamente umano – condensa le emozioni in piccoli gesti, occhiate, silenzi psicologici, attraverso il linguaggio fine e minimalista del clown teatrale. Si creano così due percorsi paralleli (scena degli attori/scena dei pupazzi) il cui intreccio costituisce il cuore drammaturgico dello spettacolo.


La colonna sonora
I brani, scelti ed elaborati dal musicista IOSONOUNCANE, ritmano e accompagnano le scene creando un ambiente sonoro idoneo all’evoluzione dei personaggi. La selezione di musica anni ’60, in particolare il Motown Sound, accompagna la costruzione e il consolidamento della relazione tra Gia

Altri crediti: creazione sonoro: IOSONOUNCANE
disegno luci: Matteo Pozzobon

Secondo classificato al playFestival 2.0 indetto da ATIR Teatro Ringhiera e Piccolo Teatro di Milano
Spettacolo vincitore del concorso “Teatro voce della società giovanile” indetto da Endas Emilia Romagna e Itc Teatro
Vincitore ARCI In Scena 2019

Produzione: Manimotò

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La caratteristica fondamentale della mano umana è la sua adattabilità alla forma dell’oggetto afferrato. Su una superficie piana, come ad esempio un vetro, la mano si appiattisce e viene a contatto con parte del palmo e delle falangi. Se l’oggetto afferrato invece è voluminoso allora la mano si incurva e si vengono a formare degli archi secondo tre direzioni principali.

Manimotó scaturisce dall’incontro di Ariela Maggi e Giulio Canestrelli. Manimotó si dà un nome nel ottobre del 2012 e per farlo sceglie la capacità delle mani di agire in funzione della forma dell’Oggetto che hanno davanti.

Manimotó ricerca un linguaggio teatrale visivo, sensoriale e grottesco con il quale esplorare differenti aspetti della nostra contemporaneità.
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